L'intelligenza artificiale in azienda, una rivoluzione che non può prescindere dai dati

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ECONOMIA

Redazione Economia Redazione Economia   -   La corsa all'adozione dell'intelligenza artificiale nelle imprese italiane, sebbene in fase di accelerazione, si scontra con un divario allarmante tra grandi realtà e piccole e medie imprese, le quali mostrano una diffusa riluttanza dettata principalmente da timori legati alla governance dei dati.

I dati ISTAT, del resto, parlano chiaro: la tecnologia è utilizzata dal 25% delle grandi società contro un esiguo 5% delle PMI, un ritardo che rischia di compromettere la competitività sul mercato.

Durante la seconda edizione dell'evento AI Transition, tenutosi l'11 dicembre 2025, sono stati esaminati proprio questi temi cruciali, dall'evoluzione tecnologica alle opportunità concrete, senza tralasciare il quadro normativo e le trasformazioni del lavoro.

La questione di fondo, emersa con forza, è che qualsiasi investimento, per quanto cospicuo, rischia di essere vano senza una solida strategia di data management, vero pilastro su cui costruire applicazioni di IA efficaci e sicure. ilsoftware +3

La lezione di Newton e le fondamenta dati

Come osservò Isaac Newton, il progresso scientifico si costruisce "sulle spalle dei giganti", ovvero sulle conoscenze consolidate che permettono di vedere più lontano.

Un parallelismo che calza perfettamente all'intelligenza artificiale contemporanea, la cui efficacia dipende interamente dalla qualità, dall'organizzazione e dalla sicurezza delle informazioni su cui viene addestrata. Senza queste fondamenta, la rivoluzione promessa si trasforma in un castello di carte, vulnerabile e privo di utilità pratica.

Gli investimenti, seppur record, e le aspettative altissime si infrangono così contro fragilità diffuse, che rendono la data strategy non un optional tecnico, bensì il primo e più imprescindibile anello della catena del valore.

Una negligenza in questo campo, del resto, espone le aziende a rischi operativi e di sicurezza che possono minare irreparabilmente la fiducia di clienti e partner. studenti +3

Il divario interno tra i dipendenti

All'interno stesso degli ambienti aziendali, poi, si sta creando una frattura sottile ma significativa, che ridisegna le competenze necessarie per emergere.

Un recente rapporto di OpenAI, analizzando l'utilizzo tra oltre un milione di clienti business, ha evidenziato come i dipendenti nel 95° percentile per uso dell'IA interagiscano con strumenti come ChatGPT con una frequenza sei volte superiore alla media dei loro colleghi nella stessa organizzazione.

Questo divario operativo, che non dipende da anzianità o Titolo di studio, sta creando una nuova gerarchia basata sulla padronanza degli strumenti digitali, lasciando indietro chi non riesce ad aggiornarsi.

Di conseguenza, si acuisce il rischio di una doppia velocità anche nelle dinamiche interne, con alcuni team che avanzano a ritmo serrato e altri che faticano a tenere il passo, compromettendo l'omogeneità dei processi. sofiaoggi +3

La paura che frena le PMI

Il motivo principale del ritardo italiano, specialmente nel tessuto delle piccole e medie imprese, va ricercato in una preoccupazione concreta: la paura di perdere il controllo sui dati sensibili e sulla proprietà intellettuale.

La Relazione per paese sullo stato del Decennio Digitale 2024 della Commissione Europea conferma questa percezione, collocando l'Italia al di sotto della media europea per adozione dell'IA.

È un gap che non si spiega solo con limiti di budget o competenze tecniche, ma con una diffusa diffidenza verso piattaforme esterne, viste come potenziali veicoli di fughe di informazioni preziose.

Tale timore, se non affrontato con soluzioni chiare di cybersecurity e modelli di governance trasparenti, rischia di condannare una fetta larga del sistema produttivo all'irrilevanza, in un'epoca in cui il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha riportato l'attenzione globale sulle tecnologie strategiche e sulla sovranità digitale. innovationpost +3