La nuova dottrina Trump sull'Europa e il gelo sul piano di pace per Kiev

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ESTERI

Redazione Esteri Redazione Esteri   -   Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha delineato, in una recente intervista, una visione netta e spiazzante dei rapporti transatlantici, dipingendo un'Europa percepita come debole e confusa, priva di una direzione strategica precisa.

Le sue parole, che riecheggiano e amplificano il contenuto della nuova Strategia di sicurezza nazionale americana, hanno generato un'onda d'urto a Bruxelles, dove il tono utilizzato – definire il percorso dell'Unione un "pericolo" da cui resistere – viene interpretato come un brusco ridimensionamento dell'alleanza.

Trump, il quale in passato aveva espresso il desiderio di un'Europa forte, capace di sostenersi autonomamente, ora critica apertamente la classe dirigente continentale, accusandola di guidare il blocco verso una fase di declino, senza avere la capacità di indicare una rotta alternativa e convincente.

La questione ucraina e la richiesta di realismo

Alla critica generale si aggiunge, come logico corollario, una posizione fortemente pragmatica sul conflitto in Ucraina, che rappresenta il banco di prova più immediato per la coesione occidentale.

Trump ha esortato pubblicamente il presidente ucraino a "essere realistico", sollevando poi una questione di principio: la necessità di svolgere elezioni, in un paese che definisce una democrazia ma dove il voto è sospeso da anni a causa della legge marziale.

Sostiene, citando sondaggi non specificati, che una larga maggioranza della popolazione desideri un accordo per fermare le ostilità, sottolineando come le perdite umane continuino a essere insostenibili, con migliaia di vittime ogni settimana.

Questo approccio, che enfatizza il costo del conflitto e la volontà popolare di una soluzione negoziata, segna una distanza evidente dalla retorica del sostegno incondizionato e a oltranza che ha caratterizzato parte dello scenario politico europeo.

Il gelo nella telefonata con i leader europei

La divergenza di vedute è emersa in tutta la sua concretezza durante una recente telefonata tra Trump e i leader di Francia, Germania e Regno Unito, chiamati a confrontarsi proprio sulla spinosa questione ucraina.

I tre, infatti, avevano lavorato a una rielaborazione del piano di pace originariamente avanzato da Washington, tentando probabilmente di mediare tra le diverse posizioni in campo. L'esito del colloquio, tuttavia, è stato tutt'altro che costruttivo, trasformandosi in un confronto duro e senza aperture.

La Casa Bianca ha respinto senza mezzi termini la proposta europea, giudicandola inadeguata e comunicando, con un linguaggio che non ammette repliche, di non voler "perdere tempo" in trattative considerate sterili o dilatorie.

Le implicazioni di una svolta strategica

Questa sequenza di eventi delinea una fase nuova e potenzialmente instabile per la politica estera occidentale, dove la tradiziale leadership americana assume contorni più sfumati e condizionati.

L'insistenza sulla forza dell'Europa, quando declinata in questi termini, suona come un invito a farsi carico in prima persona dei problemi di sicurezza nel proprio vicinato, mentre le critiche alla gestione del dossier ucraino spostano l'asse dalla prospettiva di una vittoria militare a quella di un compromesso politico.

Rimane da vedere come le istituzioni continentali, spesso lente e divisive nelle decisioni cruciali, sapranno reagire a questa pressione esterna, che le mette di fronte a responsabilità di cui, per anni, hanno demandato gran parte dell'onere a Washington.

L'asse transatlantico, di conseguenza, non si rompe ma si trasforma, costringendo entrambe le sponde a ridefinire i propri obiettivi e i propri metodi in uno scenario globale sempre più complesso.