Piazza Fontana, la memoria che resiste nonostante la giustizia mancata
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Redazione Interno
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Cinquantaquattro anni, un numero che per molti è solo storia da manuale, separano dall’esplosione che, alle 16.37 del 12 dicembre 1969, squarciò la sala della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano.
Un orologio fermo sull’istante in cui l’Italia, come sostengono gli storici, imboccò una svolta drammatica, entrando nel tunnel degli “anni di piombo”.
L’odore di polvere da sparo e di sangue, i cappellacci di feltro dei contadini venuti in città per le loro faccende, le calze di lana sfilacciate tra i detriti: sono queste le immagini, crudeli e precise, che i giornali dell’epoca consegnarono a un paese attonito.
Immagini che, a distanza di più di mezzo secolo, conservano una forza testimoniale incontestabile, mentre il percorso giudiziario legato a quell’evento sembra essersi invece dissolto in una nebbia di inconcludenza. corriere +1
Un percorso processuale ostacolato
La verità giudiziaria, quella che porta a condanne definitive, sulla “madre di tutte le stragi” non è mai arrivata. È questo il dato di fatto, amaro e incontrovertibile, che emerge dalla selva di processi celebrati.
Procedimenti lunghissimi, segnati – come hanno ripetutamente osservato i giudici di vario grado – da una lunga serie di intralci, depistaggi e inquinamenti delle prove, i quali hanno di fatto reso impossibile accertare le responsabilità penali individuali oltre ogni ragionevole dubbio.
Ciò nonostante, attraverso quelle stesse aule giudiziarie, dove spesso i procedimenti si concludevano con assoluzioni o, più frequentemente, con la prescrizione del reato, si è faticosamente sedimentata una ricostruzione storica dei fatti.
Una ricostruzione che, seppur parziale e giuridicamente non punitiva, ha il peso di un accertamento ufficiale. ilgiorno +1
La verità storica emersa dagli atti
È nel 2005, con l’ultima sentenza della Corte di Cassazione, che si chiude definitivamente la parabola processuale. Una chiusura beffarda per chi cercava giustizia, ma che nello stesso tempo consegna alla nazione un principio fondamentale e ormai inoppugnabile.
La magistratura, esaminando una mole sterminata di atti e testimonianze, ha stabilito che la bomba di piazza Fontana fu ideata, preparata e collocata da elementi riferibili all’organizzazione eversiva di estrema destra denominata Ordine Nuovo.
Si tratta di un frammento di verità storica e processuale acquisito, un punto fermo da cui non è più possibile prescindere, nonostante l’assenza di condannati. Una verità che resiste alla corrosione del tempo e alla prescrizione dei reati, diventando patrimonio della coscienza collettiva. corriere +1
La commemorazione e il dovere della memoria
Proprio per non disperdere questo patrimonio, oggi come ogni 12 dicembre, Milano si ferma a ricordare. Un corteo silenzioso e partecipato, guidato dai familiari delle vittime – i cui nomi continuano a vivere nella memoria privata e pubblica – e dalle istituzioni cittadine, percorre le strade del centro fino a giungere in piazza Fontana.
Lì, alle 16.37, un minuto di silenzio interrompe il rumore della città, un omaggio puntuale come lo scatto di un orologio che riporta tutti a quel pomeriggio di dicembre.
Gli interventi che seguono, privi di retorica, servono a ricucire il filo tra passato e presente, a ribadire che la memoria di ciò che accadde, con i suoi morti, i suoi feriti e le sue verità difficili, non è un esercizio di archeologia storica.
È, piuttosto, una condizione necessaria per comprendere il presente, un antidoto contro l’oblio che, talvolta, rischia di avanzare più in fretta della stessa giustizia. corriere +1




