Industria italiana nella morsa della crisi, governo inerme di fronte al declino

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ECONOMIA

Redazione Economia Redazione Economia   -   Il dato diffuso ieri dall’Istat, un calo mensile dell’1% che porta il trimestre a un pesante -0,9%, non è che l’ultimo anello di una catena ormai ben consolidata, visto che si tratta del trentaduesimo ribasso su trentasei mesi.

Quella che si profila, cifre alla mano, non è una congiuntura sfavorevole ma il segno tangibile di un processo di deindustrializzazione che il governo Meloni non ha saputo e, stando ai fatti, non ha voluto contrastare con una strategia credibile.

Il risultato di questa inerzia, che alcuni definirebbero colpevole, è sotto gli occhi di tutti: interi comparti, un tempo pilastri dell’economia nazionale, si stanno lentamente ma inesorabilmente svuotando, privati della linfa vitale e privi di prospettive.

Il settore automotive, che nell’ultimo anno ha visto crollare la propria produzione di quasi il dodici per cento, rappresenta soltanto l’esempio più eclatante di una deriva che non risparmia quasi nessuno. agenziagiornalisticaopinione +3

Un panorama desolante senza distinzioni di settore

A guardare i numeri nel dettaglio, l’unico segnale positivo, seppur debole, arriva esclusivamente dal comparto energetico, una timida virata in verde che non basta assolutamente a compensare il rosso che tinge tutto il resto della mappa industriale.

La chimica, la moda, la meccanica: sono tanti, forse troppi, i campi in cui le aziende arrancano e le linee di produzione rallentano il loro ritmo, quando non si fermano del tutto.

La situazione, del resto, era nell’aria da tempo e le previsioni più ottimistiche, quelle che parlavano di una ripresa imminente, si sono infrante contro una realtà fatta di ordinativi che calano, di mercati esteri sempre più competitivi e di politiche industriali nazionali che latitano.

Ciò che colpisce, al di là della fredda statistica, è la percezione di una assenza, di un vuoto di potere e di idee laddove servirebbero interventi strutturali e coraggiosi. ilmanifesto +3

La risposta sociale alla crisi produttiva

Di fronte a questo scenario, che toglie ossigeno al paese e getta ombre sul futuro occupazionale, la reazione non poteva che arrivare dal mondo del lavoro, con il proclamato sciopero generale che segna un momento di forte attrito sociale.

La protesta, che attraversa fabbriche e cantieri, nasce dalla constatazione amara che la “crisi nera” dell’industria non viene affrontata con la necessaria determinazione dalle istituzioni, lasciando i lavoratori e le loro famiglie in balia di un declino che pare inarrestabile.

È una mobilitazione che parla di paura per il domani, ma anche di rabbia per un presente fatto di incertezze, dove la parola “piano” sembra essere scomparsa dal vocabolario della politica industriale. Si avverte, nelle piazze e nei reparti, la mancanza di un progetto che vada oltre la gestione dell’emergenza. puntomagazine +3

Il contesto internazionale e le ombre della cronaca

Questa fragilità endemica del sistema produttivo italiano si inserisce, peraltro, in un quadro globale tutt’altro che rassicurante, segnato da tensioni geopolitiche e da scelte di politica economica dei grandi attori internazionali che producono ripercussioni a catena.

La nuova amministrazione statunitense guidata da Donald Trump, ad esempio, introduce variabili imprevedibili negli equilibri commerciali mondiali, dalle quali l’Italia, nella sua condizione di spossatezza industriale, potrebbe uscire ancor più indebolita.

A completare un quadro già fosco, si aggiungono purtroppo le cronache di fatti di sangue legati al mondo del lavoro, episodi di nera che le forze dell’ordine e la magistratura stanno approfondendo con indagini meticolose, i quali gettano una luce sinistra su dinamiche di sfruttamento e di illegalità che spesso si annidano proprio laddove l’economia legale arretra. puntomagazine +3