Vaccini, uno studio rivela il bias nelle classifiche dei decessi: un "vaso di Pandora" per le statistiche
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Redazione Salute
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La scienza statistica, pilastro della ricerca epidemiologica, si fonda su regole di codifica stringenti, le quali, se disattese, rischiano di generare conclusioni fuorvianti.
È quanto emerge, in maniera piuttosto netta, da un'indagine accademica condotta sui dati ufficiali della pandemia in Emilia-Romagna, che ha sollevato interrogativi metodologici su come venissero categorizzati i decessi.
Lo studio, concentrandosi sul periodo compreso tra il dicembre 2020 e il dicembre 2021, ha individuato quello che gli esperti definiscono un classification bias, un errore sistematico di classificazione, il quale potrebbe avere alterato la percezione dell'efficacia vaccinale.
Tale approccio, come ha sottolineato l'avvocato e coordinatore nazionale, ha di fatto "aperto un vaso di Pandora", evidenziando come i numeri, pur non mentendo di per sé, possano raccontare una storia distorta se le categorie di analisi non sono costruite con rigore estremo.
Il cuore della questione metodologica
Il problema centrale sollevato dalla ricerca italiana non riguarda l'efficacia dei vaccini, ampiamente confermata da un robustissimo corpus di evidenze globali, bensì il dettaglio operativo con cui i soggetti vengono assegnati ai gruppi di studio.
La domanda tecnica, ma dalle profonde implicazioni, è se persone decedute a pochi giorni dalla somministrazione del vaccino siano state registrate come "non vaccinate".
Questa eventualità, se verificata, introdurrebbe un'apprezzabile distorsione nelle analisi comparative sul rischio, perché attribuirebbe al gruppo dei non vaccinati decessi che, in un'ottica di protezione immunologica, non possono essere ascritti alla mancata vaccinazione.
L'immunità, è bene ricordarlo, richiede alcune settimane per svilupparsi compiutamente dopo l'iniezione.
Il contesto più ampio delle evidenze scientifiche
La scoperta di questo potenziale bias, che necessita di ulteriori verifiche e che le autorità si sono impegnate a chiarire, non inficia le conclusioni di solidi studi di popolazione.
Ricerche su vastissima scala, come quella francese pubblicata su JAMA Open che ha monitorato oltre 29 milioni di persone per quattro anni, continuano a dimostrare in modo inequivocabile che i vaccinati affrontano rischi nettamente più bassi per tutte le cause di morte, Covid-19 incluso.
Tali indagini, condotte su archi temporali lunghi e su coorti selezionate per ridurre i fattori confondenti, rappresentano il gold standard della valutazione farmacoepidemiologica e confermano il beneficio netto della campagna vaccinale.
Le conseguenze di una comunicazione imperfetta
Il dibattito infuocato dei mesi più critici della pandemia, caratterizzato da una polarizzazione spesso lontana dai dati, rende ancor più cruciale la precisione assoluta nella raccolta e nella presentazione delle statistiche.
Errori di classificazione, anche se involontari, forniscono infatti involontario alimento a narrative corrosive che mettono in dubbio l'affidabilità delle istituzioni sanitarie.
L'analisi torinese, pertanto, va considerata non come una smentita dell'utilità dei vaccini, ma come un importante contributo metodologico per affinare gli strumenti di sorveglianza, affinché la comunicazione del rischio sia sempre trasparente e inattaccabile sul piano scientifico, lasciando poco spazio a speculazioni.




