Dollari, petroliere e spazio aereo: l’assedio di Trump al Venezuela si intensifica

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ESTERI

Redazione Esteri Redazione Esteri   -   Il mare caraibico, da sempre crocevia di commerci e rotte energetiche, è diventato improvvisamente il teatro di una contesa che ricorda, nei metodi e nel linguaggio, le operazioni di polizia internazionale più aggressive.

Dopo il blitz che ha portato al sequestro della superpetroliera Vlcc Skipper, accusata di trasportare greggio venezuelano sotto sanzioni, l’amministrazione Trump ha inasprito la pressione su Caracas colpendo con nuove misure altre sei navi cisterna di grande capacità e le società che le gestiscono.

Si tratta delle prime unità prese di mira per i movimenti di petrolio venezuelano da quel lontano gennaio 2021, ultimo giorno del primo mandato dell’attuale presidente, il quale sembra ora deciso a chiudere in modo definitivo una partita rimasta in sospeso. la7

Una strategia a tenaglia tra mare e cielo

L’operazione, che il capo della Casa Bianca ha personalmente pubblicizzato definendola la più grande del suo genere, non costituisce un episodio isolato ma piuttosto l’anello più recente di una catena di atti di forza.

Alcuni dei quali, va osservato, hanno assunto contorni inconsueti e sono sfociati in dichiarazioni che hanno sorpreso gli analisti.

Verso la fine di novembre, infatti, Trump ha annunciato tramite i suoi canali di considerare "interamente chiuso" lo spazio aereo sul Venezuela, un monito rivolto non solo ai presunti trafficanti ma anche, in termini generici, alle compagnie aeree e ai piloti.

Una mossa che, al di là della sua immediata applicabilità pratica, segnala l’intenzione di stringere il paese in una morsa totale, isolandolo sia per via aerea che per via marittima. Una strategia che trova il suo cardine operativo proprio nel controllo delle rotte del greggio, la linfa vitale dell’economia venezuelana. la7

Le sanzioni e il sostegno oltreoceano

Parallelamente all’azione militare e di polizia, procede senza sosta il lavoro amministrativo del Tesoro, il quale ha colpito con sanzioni mirate non solo le navi ma anche una serie di individui ritenuti vicini al governo di Nicolas Maduro.

Una guerra economica che si combatte sui registri delle proprietà e sui flussi finanziari, e che mira a soffocare qualsiasi tentativo di elusione delle restrizioni.

Questo scenario di confronto totale ha trovato una eco inaspettata in Europa, dove María Corina Machado, figura di spicco dell’opposizione venezuelana, durante un soggiorno in Norvegia ha espresso un netto sostegno alla linea dura perseguita da Washington negli ultimi mesi.

Una posizione che, se da un lato legittima la narrativa statunitense, dall’altro sottolinea come la crisi venezuelana continui a generare divisioni e schieramenti anche lontano dal suo epicentro geopolitico. la7

Il confronto diretto e le sue ombre

Il tono della contesa è ormai personale e diretto, come dimostra l’esplicita richiesta di dimissioni rivolta da Trump a Maduro. La retorica si è fatta incalzante, a tratti sfiorando argomenti che esulano dalla tradizionale disputa sulle risorse.

L’attuale presidente americano ha infatti, in diverse occasioni, fatto riferimento a presunte interferenze venezuelane negli affari interni degli Stati Uniti, accostando la guerra delle petroliere a teorie che alimentano il clima di sospetto.

Il tutto mentre la presenza militare navale statunitense al largo delle coste del paese sudamericano viene rafforzata, in un’escalation che mescola la dimostrazione di forza a operazioni giudiziarie come il sequestro delle navi, le cui vicende si dipanano ora tra inchieste federali e tribunali.

Una partita complessa, insomma, dove il barile di petrolio e la supremazia del dollaro costituiscono gli obiettivi primari, ma dove la posta in gioco sembra ormai investire la stessa stabilità regionale. la7