Cdc rivede le linee guida: vaccino anti-epatite B non più raccomandato alla nascita per tutti
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Redazione Salute
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Gli Stati Uniti, dove il presidente Donald Trump ha appena insediato la nuova amministrazione, modificano una pietra miliare della sanità pubblica pediatrica.
Il comitato consultivo sui vaccini dei Centers for Disease Control and Prevention ha infatti votato, dopo un dibattito protrattosi a lungo e caratterizzato da precedenti tentativi non andati a buon fine, per revocare la raccomandazione universale della prima dose di vaccino contro l'epatite B entro le prime ventiquattr'ore di vita.
Una prassi, questa, consolidata da oltre trent'anni e considerata tra i capisaldi della prevenzione neonatale, che viene dunque sostanzialmente ridefinita. La decisione, approvata con otto voti favorevoli e tre contrari, costituisce il cambiamento più significativo nel calendario vaccinale statunitense dall'insediamento di Robert F. Kennedy Jr.
alla guida del Dipartimento della Salute, segnando una svolta le cui implicazioni saranno oggetto di attento scrutinio.
La nuova raccomandazione e il caso italiano
Il nuovo orientamento, che si applica in modo specifico ai nati da madri risultate negative al virus dell'epatite B, posticipa la somministrazione della prima dose al compimento del secondo mese di vita, allineandosi in parte allo schema seguito in altre nazioni.
In Italia, ad esempio, la prima dose viene somministrata al terzo mese, un approccio che ha garantito comunque una copertura efficace.
Gianni Rezza, intervenuto sulla questione, ha osservato come sia prematuro esprimere un giudizio definitivo sulla scelta americana, sottolineando come lo schema a nascita – diverso da quello italiano – avesse permesso di ridurre del 95% le infezioni nel paese.
Tale successo, ha fatto notare, poteva trovare una sua ragion d'essere nella particolare epidemiologia statunitense, storicamente caratterizzata dalla presenza di diversi gruppi di popolazione ad alto rischio per la trasmissione del virus, una circostanza che potrebbe aver giustificato, in passato, l'urgenza di una immunizzazione immediata.
Il contesto e le possibili ragioni di una svolta
La modifica, che giunge in un clima di generale riesame delle politiche sanitarie, non cancella ovviamente la vaccinazione ma ne ritarda l'inizio per una fascia precisa di neonati, quelli nati da madri non positive.
È una revisione che riflette, probabilmente, una valutazione aggiornata del rapporto rischio-beneficio alla luce dell'attuale situazione epidemiologica, sebbene le motivazioni dettagliate alla base del voto non siano state ancora completamente diffuse.
L'epatite B, che può condurre a cirrosi e carcinoma epatico, si trasmette attraverso il sangue e i fluidi rei, e la vaccinazione rimane lo strumento primario di prevenzione.
L'abbandono di una raccomandazione universale alla nascita, però, segna un distacco da una strategia di immunizzazione di massa che era stata implementata per interrompere la catena di trasmissione anche in contesti familiari e sociali, dove il contagio può avvenire in modo silente.
Considerazioni sulla sanità pubblica
La decisione del comitato consultivo, che deve ancora ricevere l'approvazione formale del direttore del Cdc e del Dipartimento della Salute, apre inevitabilmente a riflessioni sulla dinamica delle politiche vaccinali, le quali devono costantemente adattarsi al mutare del panorama delle malattie infettive.
Se da un lato il modello americano, con la sua prima dose immediata, era nato per fronteggiare un'emergenza specifica, dall'altro l'adeguamento a protocolli più diffusi a livello internazionale potrebbe indicare una normalizzazione del rischio percepito.
Resta il fatto che qualsiasi cambiamento in un programma così radicato viene monitorato con estrema attenzione dagli esperti di salute globale, poiché gli esiti – in termini di incidenza della malattia nelle nuove generazioni – forniranno dati cruciali per future valutazioni comparative sull'efficacia dei diversi schemi di immunizzazione infantile.




