«Nuda» di Anthony David Paloscia: la forza che nasce dal buio
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Il romanzo si apre con un attacco di panico, trasformato subito in occasione narrativa. Perché ha scelto proprio questo momento emotivo come detonatore dell’intera storia?
Ho scelto l'attacco di panico come apertura perché rappresenta, per la maggior parte delle persone, un vero e proprio momento di discontinuità esistenziale. È l'istante in cui la vita "chiede il conto" in modo irrinunciabile. L'esperienza del panico segna un netto "prima" e "dopo": costringe il personaggio a fermarsi, a disvelare la sua parte più autentica e a confrontarsi con tutto ciò che aveva represso. È il detonatore perfetto per un viaggio di profonda introspezione e rivelazione.
«Nuda» alterna passato e presente, creando un flusso di memoria che si ricompone nel corso della notte. Quanto è stato complesso costruire questa struttura temporale?
La costruzione di questa architettura temporale è stata indubbiamente la sfida maggiore. L'intera narrazione è confinata in un'unica notte, un lasso di tempo in cui la protagonista è costretta a "fare i conti" con ogni elemento della sua vita che aveva meticolosamente nascosto. La difficoltà risiedeva nel gestire il flusso di coscienza e di memoria in modo che non risultasse caotico, ma che, al contrario, si ricomponesse gradualmente per rivelare la catena di eventi che l'hanno condotta a quel punto di crisi. Richiudere una vita intera in poche ore notturne ha richiesto precisione e un'attenta calibrazione emotiva.
Nella sua scrittura emergono influenze esistenziali e psicologiche. Ci sono autori o correnti letterarie che l’hanno ispirata nella costruzione della voce di Marta?
Più che l'ispirazione da un singolo autore o da una specifica corrente letteraria, la voce di Marta è nata da un profondo studio sull'esperienza umana in crisi. Ho condotto una vasta ricerca che includeva testi di psicologia analitica, manuali sul dolore e sulla resilienza, e l'ascolto di numerose storie di persone che hanno attraversato l'“ora più buia”. L'obiettivo non era emulare uno stile, ma trovare il linguaggio più autentico e universale per descrivere quel confronto finale con se stessi che prelude all'inizio di una nuova vita.

Guardando ai prossimi anni, quali obiettivi sente più urgenti come scrittore? Continuare la strada della narrativa introspettiva o sperimentare nuovi territori?
Sento un'urgenza creativa verso la sperimentazione di nuovi territori narrativi. Sebbene i miei prossimi progetti includeranno elementi di giallo, thriller o romanticismo, la mia priorità assoluta sarà sempre quella di non far perdere ai personaggi la loro autenticità introspettiva. Mi interessa che il lettore possa sempre stabilire una connessione umana profonda e riconoscersi nelle dinamiche interiori dei protagonisti. L'esplorazione di nuovi generi sarà semplicemente un veicolo per portare avanti l'indagine sull'animo umano.
Il lutto materno è uno dei nodi emotivi più forti del romanzo. C’è un messaggio che desidera arrivi a chi ha vissuto una perdita simile?
Il messaggio che desidero trasmettere è questo: il dolore di una perdita non deve essere nascosto o recluso in quella che io chiamo una "gabbia d'oro". L'addio a una figura genitoriale è un evento che forgia la nostra identità e non può essere minimizzato. È un dolore che esige di essere visto, riconosciuto e abbracciato con cura. Dobbiamo trovare il coraggio di elaborare e dire addio in modo consapevole, perché solo affrontando questa chiusura fondamentale con il proprio nesso familiare si può avviare un processo di vera guarigione.
La scrittura, in «Nuda», diventa uno strumento di cura. Questo aspetto appartiene anche alla sua vita personale o è nato soltanto come scelta narrativa?
Assolutamente, l'aspetto curativo della scrittura è profondamente radicato nella mia esperienza personale, ben oltre la scelta narrativa. Scrivere per me è un atto continuo di cura e introspezione. Che si tratti della stesura di questo romanzo, della preparazione delle interviste per il mio podcast "Voci ordinarie" o della creazione di nuovi progetti, è il momento in cui mi permetto di guardarmi dentro, spesso anche attraverso le lenti delle storie altrui. Scrivere è l'unico modo per fare uscire i pensieri e le emozioni che altrimenti il cervello tenderebbe a "rigirarsi la frittata" da solo. Mettere nero su bianco significa dare vita e realtà tangibile a ciò che è interiore.
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